Institut Iliade

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L’universo estetico degli europei

“ Il simbolo cerca di suscitare nell’uomo le sue ali spezzate”

L’universo estetico degli europei

Source : ereticamente.net – Nella cornice prestigiosa della Maison de la Chimie, elegante dimora nel cuore di Parigi, ha avuto luogo un evento importante che ha richiamato relatori francesi ed europei di spicco ed attirato un selezionato pubblico pagante di quasi 900 persone di tutte le età, invitate ad addentrarsi e a respirare nel paesaggio di ‘vetta’ evocato già dal suggestivo titolo dell’incontro: “l’Universo estetico degli europei”.

L’appello lanciato dall’Institut Iliade pour la longue mémoire européenne può essere sintetizzato nelle parole che il presidente Philippe Conrad ha rivolto ai presenti in apertura dei lavori: “La natura come solco, l’eccellenza come fine, la bellezza come orizzonte, è questo l’ultimo messaggio che ci ha lasciato Dominique Venner e oggi noi avvertiamo chiaramente l’importanza che riveste il terzo elemento di questo trittico fondatore”.

L’Institut Iliade che vede la luce proprio in seguito al sacrificio di Dominique Venner, opera con l’intento di trasmettere all’attuale generazione di europei la consapevolezza della ricchezza culturale profusa nel tempo dalla civiltà di cui sono figli, affinché possa ridestarsi, attraverso un’azione di pedagogia e ricerca, il senso del suo valore. Come riportato anche sul sito dell’Istituzione: “I cittadini attuali dell’Europa misconoscono il ruolo giocato dalla loro civilizzazione nella storia del mondo. Questa cancellazione memoriale anticipa l’accettazione di una sparizione collettiva. Rifiutando tale estinzione, L’istituto Iliade per la lunga memoria europea intende operare all’affermazione della ricchezza culturale dell’Europa e alla riappropriazione, da parte degli Europei, della propria identità.”

Gli interventi − tutti di livello notevole − che si sono succeduti hanno evocato di fronte alle minacce di estinzione della nostra civiltà, che subisce l’attacco congiunto del fanatismo islamista e del nichilismo materialista occidentale, il tema dell’arte europea come “arte della rappresentazione”, di un’arte che ha espresso una creatività che ha saputo incessantemente rinnovarsi nel solco della tradizione accogliendo nel suo seno i contributi di sensibilità differenti, ma non discordi, affiorate nel corso di una storia plurisecolare − dall’epica omerica fino all’ “opera d’arte totale” wagneriana: un proliferare di segni, immagini, suoni, una tensione rappresentativa che nasce sul suolo di un rapporto organico con la Natura ed il Sacro che, come sottolineato da Alain de Benoist, dalle origini indo-europee e pre-indoeuropee, caratterizza in modo peculiare la nostra civiltà mantenendosi fino all’età moderna.

Filosofi, scrittori, poeti, fotografi, musicologi di diversa provenienza, da Christopher Gérard a Jean-François Gautier a Slobodan Despot, ad Adriano Scianca e Philip Stein, hanno affrontato e sviluppato dai rispettivi angoli visuali un tema complesso e affascinante − gravido di spunti per un un “fronte dell’essere” da opporre all’inedia spirituale della contemporaneità − vivificando immagini lontane nel tempo, elementi di un repertorio memoriale che ci accompagna da sempre inavvertito e invisibile ma che non cessa di donare senso ad ogni nostra autentica esperienza estetica e a costituire l’apriori, l’orizzonte trascendentale di un più vasto e comune sentire europeo.

Come ripetutamente emerso nelle parole degli intervenuti, dalla Vittoria di Samotracia alle navate di Notre Dame di Parigi alle polifonie orfiche di Monteverdi fino ai luoghi sacri che puntellano e vivificano l’immaginario d’Europa, dalle foreste incantate di Brocéliande, sede dei cicli arturiani bretoni, al Warthburg germanico, al Monte Palatino di Roma: altrettanti sono i focolai di spiritualità e le sorgenti di ispirazione tuttora attivabili, sentieri geofilosofici e sacri tuttora accessibili agli spiriti viventi, ai Viandanti per cui ancora valga il motto delfico: conosci te stesso…

Questa possente armonia di contrari, di contrasti, di ombre e luci, di fughe sospensioni e vertigini, di volte, di guglie ed archi, foreste, templi, saghe, è un cosmo esuberante di forme, incarnato e ordinato in tempi e templi, secondo ritmi e riti. Mediatrice cosmica di tale opera di iscrizione dell’invisibile nel visibile, l’Arte edifica in un cosmo che non conosce arbitrio individuale, né nel gesto della creazione né nell’atto della fruizione, ignora la distinzione di spazio pubblico e privato, di un momento ‘estetico’ che non sia anche illuminazione sovraindividuale, partecipazione anagogica: essa stessa infatti è rito, simile all’atto fondativo della Polis garante del nostro abitare nella pax deorum.

Essa prende quindi forza e slancio nella certezza del disvelamento, ad opera dell’artista ispirato dalla divinità, di una dimensione trascendente, di una ri-presentazione sensibile dell’inattingibile, di un darsi fugace dell’essere nell’apparire delle forme − e rapisce ogni qualvolta ci addentriamo nelle selve di pietra di una cattedrale gotica o ci involiamo nella polifonia di suoni o nei labirinti vocali dei maestri del barocco tedesco o italiano.

Vive nell’arte occidentale, nel ‘sentire’ europeo − è l’idea espressa con particolar forza da Slobodan Despot e Christopher Gérard − come un’idea silenziosa che dal grembo di eternità minerali scaturisce in lampi e diviene marmo, venatura musicale, aforisma iniziatico, certezza che percorre come scarica elettrica i frammenti di Nicolas Gomez Davila, il nobile ‘europeo’ di Bogotà amato da Christopher Gérard, e sfolgora in schegge di diamante come in questa preziosa illuminazione dello scrittore colombiano, in cui tutto, semplicemente, sembra detto: “L’`intuizione´ è la percezione dell’invisibile, come la ‘percezione’ è l’`intuizione’ del visibile”.

Ebbene, questa relazione peculiare con la Realtà, è nostra, europea, latina, greca, celtica e germanica, da Philip Stein ad Adriano Scianca viene ricordato il valore simbolico e magico degli “Hauts lieux européens” che trapuntano la nostra Terra di luoghi ‘fatali’, luoghi di raccoglimento sacri, cosmici vascelli di attingimento, estrazione e celebrazione di forze celesti e telluriche.

Un simile rapporto con la Natura e il Sacro, un analogo statuto delle facoltà sensibili e della funzione rappresentativa, tipico di ogni civiltà tradizionale, sembra far difetto a quei monoteismi che negano all’opera d’arte, alla creazione di forme, questa capacità di estrazione ed ‘apertura’, di evocazione e simbolo di una dimensione altra, non vedendovi altro che peccaminosa idolatria, ignominioso culto di idoli stranieri da abbattere.

Il non ‘riconoscimento’ dei luoghi, la riduzione della terra a deserto o quantità inerte manipolabile a piacimento, coniugando monoteismo iconoclasta e razionalismo cartesiano, trova nell’ideologia cosmopolita e mercatista del libero commercio e del nuovo ordine mondiale, nemico di frontiere popoli e razze, l’esito politico più pericoloso e devastante: la minaccia di guerra totale dichiarata dall’Estremo Occidente ai popoli europei. A sua volta l’irriconoscenza per il genius loci, la desertificazione ambiente consentita da un atteggiamento mentale matematizzante, intollerante e dogmatico, che tutte le differenze abolisce in nome di un monismo universalista, corrisponde, come è stato fatto notare dai diversi oratori, lo sguaiato controcanto, il cacofonico nichilismo dell’ “arte” contemporanea, deiezione mefitica di una razza dello spirito spettrale, portatrice di disincanto ed estinzione, mietitrice di tutte le febbri e i miasmi della modernità, incapace di ascolto dell’Invisibile, sorda alla polifonia del Reale, impossibilitata ad animare forme, impotente a decifrare le corrispondenze della Natura, a trasfigurare in bellezza le sottili discordanze della materia.

Sciolta da ogni legame cosmico, ma anche da ogni idea di natura umana, essa si considera arbitra della realtà, pro-duttrice di sé, della sua essenza, e di oggetti egualmente ab-normi, inviati al consumo intellettuale di addetti ai lavori. Negatrice di ogni realtà che non sia manipolabile e trasformabile a piacimento, essa cancella anche ogni possibilità di conoscenza e percezione, e la funzione rappresentativa, quando non è risucchiata dalla pura virtualità, si affida alla ripetizione ipnotica e feticistica degli oggetti del banale quotidiano, privi di luogo e luce, incapace di ogni trasfigurazione.

Se l’arte contemporanea ‘estetizza’ quindi e rende pop il modello mondialista di nomadicità ed erranza spettrale, se realizza quel culto idolatrico del simulacro rinfacciato ingiustamente al paganesimo, e che è invece la cifra dell’ultimo uomo nicciano, verrebbe da chiedere con una punta di malizia, perché l’ISIS piuttosto che demolire siti archeologici di civiltà superiori, non abbia mai pensato di prendere di mira le defecazioni estetiche dell’Occidente nichilista contemporaneo. Per quanto riguarda invece noi, la domanda, posta anche da Adriano Scianca è la seguente: è possibile uscire dall’impasse nichilista, diretta responsabile dello smarrimento dell’essere e dell’estinzione della civiltà, senza cadere nelle imitazioni furbesche e caricaturali o nel sogni ingenui e fatui di impossibili ritorni al passato − sterili e dannose figure della Rettorica più che di una vivente visione del mondo?

Mario Cecere